Percorrere la via Flavia, come progetto embrionale, nasce a dicembre dell’anno scorso, grazie a un’amica che si chiama, guarda caso, Alice Flavia. A gennaio ho provato a dargli forma, spargendo la notizia tra amiche e sui social tematici (ringrazio per l'opportunità offertami da Blawalk) , studiando documenti e itinerari, scegliendo date e luoghi. Poi, a marzo, la clausura imposta all’emergenza Coronavirus e il progetto sembra sfumare. Ma era destino che la via Flavia la percorressi, proprio con i modi e i tempi immaginati mesi prima. E mi accompagnano quattro ragazze splendide, ottimamente assortite, sulla stessa lunghezza d’onda per cui il Cammino è un amalgama unico fatto da persone, luoghi, atmosfere e sinergie. Partiamo un sabato mattina da Lazzaretto, consce che saranno 4 tappe (invece delle 5 proposte dai promotori del Cammino) toste, dense e molto probabilmente calde.
I primi km scorrono veloci, grazie all’alternarsi di panorami e sentieri, all’entusiasmo, alle aspettative delle camminatrici e alla voglia di conoscere e conoscersi. Ci godiamo la vista sul golfo di Trieste dalle alture di Muggia Vecchia, i profumi delle ginestre e del sottobosco carsico, la brezza marina che, benevolmente, ci accompagnerà per tutta l’avventura.
Per contro assistiamo purtroppo allibite al dramma dell’immigrazione clandestina e ad alcuni isolati fenomeni di sfregio degli ambienti naturali che, a nostro avviso, andrebbero preservati e tutelati. Il Cammino è anche questo: toccare con mano la sfavillante bellezza e vulnerabilità della natura e dell’uomo che ne è ospite. Uscendo da Muggia, notiamo - unico appunto che possiamo fare a chi ha riportato a nuova vita la Via Flavia - che le frecce gialle non sono sempre facilmente visibili e che numerose volte, soprattutto agli incroci, la segnaletica riprende solo alcuni metri oltre, costringendoci a imboccare a naso l’una o l’altra diramazione, salvo poi dover ritornare sui nostri passi nel caso della scelta errata. Ci rendiamo conto, però, che gestire la vegetazione in vigoroso e incessante rinfoltimento, gli interventi umani non previsti e il deteriorarsi inevitabile dei manufatti, non è un’impresa da poco, specie per un Cammino così giovane. E’ l’occasione giusta invece per testare il nostro senso dell’orientamento e affidarci anche alla fortuna delle principianti. Raggiungiamo i rilassanti laghetti di Noghere giusto in tempo per zittire i morsi della fame e affrontare la Val Rosandra rinvigorite e riposate.
Sospinte da alcuni nuvoloni minacciosi, ci dirigiamo convinte verso Cattinara, dove pernottiamo. Colgo l’occasione delle ritrovate energie, dovute a un’abbondante cena, per proporre alle mie compagne la variante “alta” della seconda tappa. Studiando il percorso originario scaricato dalla pagina Facebook, avevo notato infatti l’alta percentuale di asfalto da percorrere prima di raggiungere il Villaggio del Pescatore, nostro secondo pernotto. Decidiamo quindi di raggiungere Basovizza l’indomani mattina, dove fare merenda con una Carsolina davvero strepitosa.
Proseguendo lungo sentieri poco battuti, arriviamo a Opicina e imbocchiamo la Napoleonica. Scelta più che azzeccata: il fondo sterrato e pianeggiante del sentiero, la costante presenza di ombra e frescura e gli scorci pittoreschi sul golfo triestino ci fanno percorrere i 20 km che ci separano da Sistiana con andatura leggera.
Ci attende, come ultimo sforzo giornaliero, il sentiero Rilke che ci ripaga abbondantemente della fatica che sta per concludersi.
Raggiungiamo il Villaggio del Pescatore col refrigerio di due gocce di pioggia, giusto per ricordarci che siamo fortunate ad avere san Pietro dalla nostra. Il secondo pernotto l’ho prenotato in una caratteristica casetta di pescatori, con tanto di foglio di registrazione della Marina Mercantile Italiana datato 1955 in bella mostra. Anche la cultura si arricchisce, camminando. La terza tappa ci vede orfane per un giorno di una delle camminatrici, ma non ci abbattiamo di certo, sicure di ritrovarla alla partenza della quarta tappa. Raggiungiamo in fretta le bocche del Timavo e abbiamo modo di apprezzare lo spray anti-insetti, oltre alla peculiarità del corso d’acqua e della zona naturalistica che lo circonda.
Le frecce gialle della Via Flavia ci spingono in direzione di Monfalcone. Purtroppo facciamo un po’ di confusione con le tracce, tra quella ufficiale e le varianti, e imbocchiamo la SR 55, piuttosto trafficata e rumorosa. Acceleriamo il passo e ci riposiamo solo dopo aver sottopassato l’autostrada. Il sentiero che ci porterà a Monfalcone ci permette di abbracciare con lo sguardo il cammino già percorso, complice l’aria tersa e alcuni tratti privi di vegetazione. Riconosciamo Muggia, la sagoma dell’ospedale di Cattinara, il santuario del monte Grisa e ci facciamo i complimenti per la perseveranza e lo spirito di condivisione che ci ha portati fin lì. Anche la terza tratta ci regala diverse emozioni: la trincea di Joffre ci ricorda che stiamo attraversando luoghi martoriati da numerosi anni di guerra e contese territoriali.
Il caffè bevuto in centro a Monfalcone ci rimette al mondo e possiamo dedicarci alla parte prettamente pianeggiante della Via Flavia. Per alzata di mano, preferiamo alcune scorciatoie che ci porteranno più velocemente a Fossalon, terzo pernotto. Però prima ci rilassiamo lungo argini, campi coltivati e piste ciclabili, gustandoci i numerosi scorci delle riserve naturali che attraversiamo, e riconoscendo flora e fauna uniche e giustamente protette.
In perfetto stile “camminatrici” la merenda la consumiamo all’ombra di un enorme salice, sedute comodamente su alcune balle di fieno, a bordo argine. Ci manca poco per giungere a Fossalon, ma l’asfalto, il caldo e i 100 km ormai accumulati nelle gambe ci mettono un po’ di stanchezza addosso. Ed è in questo momento che l’unione fa la forza: pregustarsi una doccia rigenerante e una cena sostanziosa, sdrammatizzare e saper ridere degli inevitabili acciacchi che iniziano a farsi sentire e condividere esperienze simili già vissute sono gli ingredienti che trasformano un evidente sforzo fisico in un’avventura memorabile. Dormiamo praticamente a ridosso della riserva naturale della Valle Cavanata e il concerto serale di rane, rospi e gabbiani ci culla fino al meritato sonno.
Per l’ultima tappa ci raggiungono nuovamente la quinta camminatrice e, sorpresa molto gradita, anche altre due novelle “pellegrine” che, col loro entusiasmo e freschezza, rendono l’ultima tappa davvero una passeggiata. E’ la tappa più breve, ma anche quella segnata da piccoli e prevedibili fastidi fisici.
Quindi non ci facciamo mancare numerose soste e ogni scusa è buona per aggiustarci lo zaino (che sembra ogni giorno più pesante, tanto che sorge il dubbio che qualcuno ce lo zavorri per dispetto) , scattare foto al centro storico e alla diga di Grado, scambiare due chiacchiere con chi incrociamo lungo la via; un grazie di cuore ad Ariella Colavizza per le preziose info elargite: ci serviranno a dare forma a progetti futuri.