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VAL VENZONASSA

  • Scritto da: BlaWalk
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La Val Venzonassa mi ha catturata la prima volta che ho avuto il piacere di visitarla, alcuni anni fa. Da allora l’ho percorsa in lungo e in largo, approfittando delle decine di sentieri, mulattiere, forestali e sterrati che la attraversano.
Il percorso che propongo qui è adatto a chiunque abbia buone gambe, buon senso e buona vista, sia pratico di tracciati non sempre agevoli e non si lasci intimorire dalla natura selvaggia che in alcune zone la fa da padrona. In caso di pioggia (o neve), sconsiglio vivamente di affrontare l’intera escursione: ho guadato improvvisi rigagnoli con l’acqua gelida fino alle ginocchia, sono scivolata numerose volte sulle pietre lisce e bagnate, ho trovato neve e ghiaccio dove non sarebbero dovuti essere. Quindi usiamo sempre il buon senso e l’esperienza acquisita per non causare danni a noi stessi e a chi ci accompagna.

Ma partiamo pure: parcheggio nei pressi degli impianti sportivi/scolastici di Venzone e io e Wolf, mio fido e prode compagno a 4 zampe, ci dirigiamo verso la passerella di San Zorç che attraversa la Venzonassa, ma possiamo anche usare il ponte solido poco più a valle.

Oltrepassato il torrente, svoltiamo verso destra in via Sottomonte e via Pragjel più avanti. Da lì, ripido sulla sinistra, ha inizio il Troi des Logis, segnavia CAI 705

(foto 01), che ci porterà fino alla chiesa di Sant’Antonio abate. I segnavia CAI, ve lo dico subito, non sono abbondantissimi lungo il sentiero, ma è davvero difficile perdersi. Quindi, armati di esuberanza e tanta energia (dopo due mesi di quarantena, vorrei vedere chi non sprizza vitalità al primo giorno di relativa libertà), ci inoltriamo su questo sentiero che, lo noterete, presenta un fondo di pietre per lo più lisce e piatte, incise da profondi solchi: sono i segni lasciati dalle slitte in legno e ferro - les Logis, appunto – (foto 02)

che i locali usavano per trascinare, su e giù dal Plauris, carichi di legna, fieno e approvvigionamenti per gli alpeggi sulle pendici del monte. Procediamo spediti fino alla prima ancona votiva ,

dove saliamo a sinistra sulla strada asfaltata verso borgo Mastrui e troviamo acqua corrente (l’ho bevuta in passato e sono ancora viva) per Wolf

e per riempire la sua borraccia. Se avete cani abituati alle uscite lunghe, non vi servirà portare appresso acqua appositamente per loro: lungo il tracciato ci sono numerose occasioni per farli bere in abbondanza. In prossimità delle vasche si trova il bivio che ci riporta sul Troi .

Camminiamo spediti all’ombra, il fondo del sentiero è compatto ma devo prestare attenzione alle pietre smosse, oltre che al tripudio di aquilegie, genziane, globularie. Abbondano anche ginepri, felci, pungitopo, latifoglie che permettono alla Val Venzonassa di cambiare abito ad ogni stagione che muta. Oltre ai solchi, cerco anche i fossili che ho intravisto nelle precedenti salite

, magari qualcuno più ferrato di me potrebbe illuminarci circa la storia geologica della Valle. Dopo circa 3 ½ km e 640 mt di dislivello +, raggiungiamo il bivio

che indica, proseguendo dritti, la casera Ungarina (un’altra oretta di scarpinata, molto piacevole e appagante – vi abbiamo incontrato alcuni camosci a fine dicembre, dopo averli sentiti fischiare rumorosamente, allertando i loro simili del nostro arrivo), ma noi scendiamo verso destra, lungo un sentierino spesso fangoso, oltrepassiamo un altro bivio e raggiungiamo, proseguendo dritti, la chiesetta di Sant’Antonio abate .

Ehh no, non è il santo protettore degli innamorati, ma degli animali domestici, quindi una visitina male non fa. In alcune occasioni, la chiesetta viene aperta al pubblico; io non ho ancora avuto la fortuna di poterla visitare. Un ultimo sforzo: la breve salita al cocuzzolo del belvedere dove, comodamente seduta sulla panchina, mi godo il panorama a 360°: il Plauris verso Nord, i primi Musi verso est, il Ledis

e oltre il Cjampon verso sud, Venzone, il Tagliamento e il San Simeone verso ovest. Scendiamo per assumere liquidi: il rifugio “antiatomico” nei pressi della chiesa offre acqua in una cisterna zincata per i cani e birre “sospese” per bipedi non-astemi.

Vi ricordo che è buona usanza portare su una birra, prima di berne una a scelta tra quelle presenti. Nel rifugio c’è anche un registro delle presente, un focolare e, all’esterno, legna da ardere. Insomma, ogni comfort per i viandanti rispettosi della natura: portate a valle l’immondizia prodotta e lasciare il rifugio come (o meglio di come) l’avete trovato. E ora inizia la vera variante “selvaggia”: raggiungiamo il bivio incontrato appena prima della chiesetta e imbocchiamo il sentiero in discesa CAI705a.

I successivi 600 metri sono tosti, fatti di pietre e radici che possono rappresentare dei rischi per la forte pendenza. Consiglio l’uso dei bastoncini, per chi ha dimestichezza, altrimenti ci si può appigliare ai numerosi tronchi e arbusti presenti. In poco tempo raggiungiamo una strada asfaltata, che attraversiamo per imboccare il CAI 704, ancora in discesa. Il sentiero è meno ostico, il fondo è morbido di sottobosco, ma richiede comunque attenzione. Dopo circa 400 metri sentiamo decisa la voce della Venzonassa, che, nonostante non abbia piovuto molto in tempi recenti, scorre impetuosa fra le sue gole e forre, creando marmitte, spiaggette rocciose, piccoli paradisi terrestri. Ci teniamo a sinistra, superiamo un ponticello




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